Menopausa: che cos’è e quando sottoporsi a una terapia ormonale
Raggiunta la mezza età la donna si trova ad affrontare la menopausa. Cosa accade in questo periodo al corpo femminile e in cosa consiste la terapia ormonale sostitutiva?
La menopausa è la cessazione della produzione degli ormoni estrogeni da parte delle ovaie. Contemporaneamente si ha un incremento dell’FSH prodotto dall’ipofisi sopra la soglia di 35 mUI/ml. Ma l’evento che consente alla donna stessa di rendersi conto del suo nuovo stato, è la cessazione delle mestruazioni da almeno 6 mesi.
L’età media di comparsa in occidente è 51 anni. Quando invece compare entro i 40 anni si parla di menopausa precoce.
La menopausa non è una malattia, ma un evento fisiologico, a cui però si giunge spesso impreparate, anche perchè simbolicamente associato all’inizio della vecchiaia.
Può accompagnarsi a una serie di possibili disturbi e malattie quali:
- vampate;
- insonnia;
- ansia e depressione;
- riduzione della memoria;
- disturbi urinari e sessuali da secchezza genitale;
- riduzione della libido;
- malattie cardiovascolari;
- osteoporosi.
I disturbi possono compromettere la qualità di vita della donna, le malattie invece la sua salute.
Menopausa: quali sono i rischi della terapia ormonale sostitutiva
La terapia ormonale sostitutiva – che come dice il nome – non fa altro che sostituire quello che veniva prodotto dalle ovaie ora in pensione, mira a contrastare questi problemi. A fronte della sua buona efficacia, vanno presi in considerazione i suoi effetti negativi.
I rischi connessi all’uso degli ormoni in menopausa sono principalmente: quello cardiovascolare e quello mammario.
Si ha un aumento del rischio di tromboembolia da 1: 10000 a 2,5 : 10000, malattia quindi che resta a bassa incidenza e che peraltro si risolve favorevolmente 9 volte su 10. Il rischio di infarto e ictus aumenta solo nelle donne con terapia ormonale iniziata oltre i 10 anni dalla comparsa della menopausa, mentre per quelle che la iniziano con l’arrivo della menopausa, il rischio si riduce. Questo indica che esiste una “finestra di opportunità” in cui su arterie ancora sane gli estroprogestinici sono cardioprotettivi, mentre poi su arterie con danni endoteliali da placche aterosclerotiche, gli estroprogestinici sono dannosi.
Quanto all’aumento del rischio di tumore al seno, questo è in proporzione alla durata della terapia e scompare dopo 5 anni dalla fine del trattamento. Se la terapia estroprogestinica viene protratta per meno di un anno il rischio non risulta aumentato, mentre dopo 5 anni, il rischio relativo da 1 passa a valori tra 1.2 e 1.5, a seconda dei lavori.
Per le donne isterectomizzate la terapia è solo estrogenica: il progestinico infatti si aggiunge per evitare il cancro dell’endometrio, la mucosa della cavità uterina, e quindi si omette nelle donne senza utero. Ebbene, col solo estrogeno il rischio relativo sul seno è minore, dimostrando un effetto negativo anche del progestinico. Peraltro uno studio francese dimostrerebbe che questo vale per i progestinici di sintesi, e non per il progesterone naturale, che avrebbe un effetto neutrale. Comunque l’aumento dei casi non si accompagna a un aumento significativo della mortalità per tumore al seno, perché quelli indotti dall’ormonoterapia sono meno aggressivi.
Fatto salvo che alcune donne sono escluse dalla terapia ormonale per evidenti controindicazioni agli estroprogestinici, per tutte le altre la scelta va personalizzata a seconda della loro condizione clinica.
Valutando i rapporti tra costi e benefici, gli organismi preposti a orientare la scelta delle donne che entrano in menopausa e dei loro medici propongono:
- di non effettuare terapia estroprogestinica “preventiva” in donne in assenza di disturbi, salvo in quelle in menopausa precoce, ove esiste indicazione alla terapia fin verso i 50 anni;
- per le donne con solo osteoporosi, la terapia di prima scelta non è quella ormonale, ma con gli alendronati, di efficacia paragonabile e senza i loro rischi. La terapia ormonale iniziata con la menopausa per prevenire le fratture ossee deve essere protratta per almeno 5-10 anni, con significativo rischio mammario, e quella iniziata dopo i 10 anni dalla comparsa della menopausa comporta un significativo rischio cardiovascolare;
- per le donne con secchezza vaginale la terapia indicata è con estrogeni vaginali, che è efficace e priva di rischi;
- per le donne con vampate discrete possono essere provati i fitoestrogeni, estrogeni vegetali derivati dalla soia: hanno un’efficacia minore, ma sono privi di rischi;
- per quelle con vampate importanti (10% del totale delle donne in menopausa) è indicata una terapia alla minima dose efficace e per un tempo breve, possibilmente entro l’anno.
Menopausa: cosa occorre fare se si vuole intraprendere la terapia ormonale sostitutiva
Per intraprendere la terapia ormonale sostitutiva occorre effettuare una visita ginecologica con pap test, una mammografia, un esame del sangue e la MOC (mineralometria ossea computerizzata).
La MOC serve per evidenziare eventuale osteoporosi, ovvero un’eccessiva demineralizzazione ossea, fenomeno che in vario grado si verifica progressivamente dopo l’ingresso in menopausa. Può essere effettuata a livello vertebrale o femorale: quest’ultima è da preferire per evitare interferenze nel risultato da parte dell’artrosi. Valutate indicazioni e controindicazioni, se si opterà per la terapia ormonale sostitutiva, verrà proposta alla donna la scelta della via di somministrazione (compresse o cerotti o gel) e della ripresa o meno delle mestruazioni.
La terapia va eseguita sotto controllo periodico del medico.
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