Trombofilia in gravidanza: cause, rischi e terapie
Con l’arrivo di una gravidanza il corpo della donna viene investito da numerosi cambiamenti fisici e non. Il grembo materno accoglie una nuova vita che accompagnerà la futura mamma per nove mesi e nel corso di questo periodo sono tante le attenzioni da riservare verso se stesse e il proprio piccolo. Ad esempio, la presenza della trombofilia (sia essa ereditaria o acquisita) può causare trombosi venose nel corso della gestazione.
La gravidanza è infatti anche associata a evidenti modificazioni a carico dell’equilibrio emostatico con incremento della concentrazione di molti fattori della coagulazione (fibrinogeno, fattori VII, VIII, X e del fattore di von Willebrand), ridotta concentrazione di anticoagulanti naturali (soprattutto riduzione dei livelli di Proteina S ed incremento della resistenza alla Proteina C attivata), nonché una riduzione dell’attività fibrinolitica. Infatti, con il suo proseguire e nel corso del puerperio si determina uno sbilanciamento complessivo verso un sostanziale stato di ipercoagulabilità.
Trombofilia: che cos’è e cosa causa
La presenza di una trombofilia, condizione acquisita o ereditaria di alterazione del meccanismo della coagulazione predisponente ad eventi tromboembolici, può incrementare la possibilità di patologie a genesi trombotica. Complessivamente le trombofilie ereditarie sono presenti in circa il 15% della popolazione occidentale e sono responsabili di oltre il 50% delle trombosi venose in gravidanza.
Le principali forme di trombofilia ereditaria includono le anomalie dei fattori pro-coagulanti, in particolare la mutazione A506G sul gene del fattore V (mutazione di Leiden) e la mutazione G20210A del gene della protrombina, il deficit di fattori anticoagulanti quali l’antitrombina III (ATIII), la proteina C e la proteina S, e l’omozigosi per la mutazione C677T della metilentetraidrofolato-reduttasi (MTHFR), che può essere associata con iperomocisteinemia, a sua volta potenzialmente responsabile di eventi trombotici. Fattori trombofilici acquisiti sono la presenza di autoanticorpi antifosfolipidi-anticardiolipina e LAC (lupus anticoagulant).
Le donne portatrici di trombofilia, oltre ad essere ad alto rischio per eventi tromboembolici nel corso della gravidanza, lo sono anche per complicanze ostetriche quali l’aborto ricorrente, la morte intrauterina del feto, la preeclampsia (gestosi) grave, il distacco intempestivo di placenta e l’iposviluppo fetale idiopatico grave.
Trombofilia in gravidanza: da cosa dipende l’entità del rischio trombotico
La gravidanza di per sè è un fattore di rischio trombotico e la presenza di trombofilia aumenta il rischio. L’entità del rischio trombotico dipende dal tipo di trombofilia:
- il deficit di ATIII, sebbene rara, è quella a maggior potere trombogenico. Metà delle gravide con tale deficit non sottoposte a trattamento antitrombotico sviluppa trombosi venosa profonda;
- il deficit di proteina C o di proteina S comporta un rischio trombotico in gravidanza inferiore al 10% e nel puerperio inferiore al 20%. Bisogna sottolineare che la diagnosi di deficit di proteina S deve essere effettuata fuori gravidanza. Durante la gestazione infatti si verifica fisiologicamente una sua marcata riduzione;
- la resistenza alla proteina C attivata è la trombofilia più comune nelle razze Caucasiche, ed è per lo più sostenuta dalla mutazione del fattore V Leiden, riscontrato in quasi la metà delle donne affette da trombosi venosa in gravidanza;
- la mutazione G20210A della protrombina, sebbene rara, aumenta il rischio trombotico in gravidanza di almeno 3 volte;
- l’iperomocisteinemia è frequentemente associata alla mutazione in omozigosi della MTHFR.
La gravidanza e l’assunzione routinaria di acido folico che viene suggerita a tutte le gestanti, riducono i livelli plasmatici dell’omocisteina. Forse per tali motivi non è possibile quantificare un’associazione significativa con l’incidenza di trombosi venose in gravidanza.
Trombofilia in gravidanza: quali sono le complicanze ostretiche
Come accennato, la trombofilia in gravidanza può comportare alcuni rischi. Non ci si riferisce solo a eventuali eventi tromboembolici, ma anche a complicanze di natura ostretica. In questo senso, il rischio di aborto precoce può essere aumentato da l’omozigosi per il fattore V Leiden, da l’eterozigosi per il fattore II e da l’iperomocisteinemia da mutazione in omozigosi.
Per la sindrome da aborto ripetuto, gli aborti del secondo trimestre e della morte endouterina del feto risultano implicati l’eterozigosi del fattore V Leiden e del fattore II. Per l’iposviluppo fetale grave il fattore di rischio più importante sembra essere il fattore V di Leiden. Per il distacco intempestivo di placenta invece, le mutazioni più importanti risultano essere quelle del fattore V di Leiden e del fattore II. Infine, per la pre-eclampsia grave, soprattutto se complicata da patologie quali la sindrome HELLP o la CID, nel 40% dei casi è presente una trombofilia, senza una particolare “preferenza”.
Trombofilia in gravidanza: quali terapie?
La somministrazione dall’inizio della gravidanza di dosi profilattiche di eparina a basso peso molecolare, eventualmente associate a basse dosi di aspirina, può ridurre il tasso di ricorrenza delle suddette complicanze in donne trombofiliche. Tuttavia, data la bassa prevalenza delle trombofilie, i dati attuali suggeriscono l’appropriatezza dello screening solo nel caso di pazienti con pregressa storia di tromboembolia venosa, oppure in casi selezionati in pazienti con pregresso esito avverso della gravidanza per una delle patologie sopra trattate, escluso l’aborto precoce non ricorrente.
Articoli recenti
Categorie
- Ginecologia (16)
- Ostetricia (15)
- Otorinolaringoiatria (1)
- Pediatria (6)
- Psicologia (1)