Quando una donna è in dolce attesa deve prestare molta attenzione. I rischi di contrarre un’infezione che può essere trasmessa al feto è infatti dietro l’angolo. La rosolia in gravidanza è ad esempio una di queste e può provocare danni anche gravi al bimbo in via di sviluppo. 

La rosolia è una malattia esantematica solitamente non grave, ma può diventarlo per il feto quando contratta in gravidanza.

La trasmissione materno-fetale del virus rubeolico può infatti causare aborto spontaneo, morte in utero o la nascita di un bambino affetto da rosolia congenita, con difetti alla vista, sordità, malformazioni cardiache, ritardo mentale.

Il rischio di trasmissione verticale dell’infezione al feto è inversamente proporzionale all’età gestazionale, con una stima di circa l’80% durante il primo trimestre di gravidanza. Per la rosolia-in-gravidanza-rischiprevenzione dell’infezione rubeolica in gravidanza è necessario vaccinare tutti i bambini nel secondo anno di vita, in modo da interrompere la circolazione dell’infezione, e identificare e vaccinare le donne in età fertile ancora suscettibili, in modo da evitare il contagio durante un’eventuale gravidanza.

In Italia, il vaccino antirosolia è raccomandato sin dal 1972. Tuttavia, fino al 1998 la percentuale di bambini vaccinati entro i due anni è stata < 50%, insufficiente quindi a controllare la circolazione dell’infezione. Negli anni successivi la percentuale di bambini vaccinati è nettamente aumentata, raggiungendo l’89% nel 2005. Questo ritardo spiega come, in media, il 10% delle donne tra 15 e 44 anni di età sia ancora suscettibile alla rosolia. Fortunatamente l’incidenza della rosolia è fortemente diminuita, raggiungendo il minimo storico di 139 casi notificati nel 2005, rispetto agli oltre 60.000 casi riportati durante le epidemie degli anni ’80. E sempre nel 2005 sono state segnalate solo 7 infezioni sospette in gestanti.

Rosolia in gravidanza: in cosa consiste la diagnosi

La diagnosi inizia con la valutazione delle immunoglobuline (Ig) specifiche, delle classi G e M:

  • Ig G positive e Ig M negative: soggetto immune (ha già avuto l’infezione in passato o è vaccinato, comunque non ha rischi in gravidanza);
  • Ig G negative e Ig M negative: soggetto recettivo. Se la donna in età fertile non è in dolce attesa deve vaccinarsi, se aspetta un bambino invece, deve ripetere mensilmente il test delle sole Ig M fino a 17 settimane (oltre tale epoca i rischi sono ritenuti trascurabili);
  • Ig G positive e Ig M positive: probabile immunità, visto che le IgM possono persistere per parecchi mesi o anche anni dopo l’infezione naturale o la vaccinazione, o possono riscontrarsi falsi positivi in corso di altre infezioni virali o malattie autoimmuni. Per dirimere il dubbio, è bene ripetere l’esame in un laboratorio di riferimento con anche il test dell’ “avidità delle IgG”;
  • Ig G negative e Ig M positive: probabile infezione recente (probabile per quanto appena scritto sopra). E’ bene ripetere l’esame in un laboratorio di riferimento, valutare se il titolo sale o scende per cercare di datare l’epoca dell’infezione, ovviamente confrontata con l’eventuale conoscenza dell’epoca di un contatto con una fonte d’infezione.

Non esiste una terapia per la rosolia: in caso di accertata infezione materna entro le 17 settimane, e in particolare entro le 13 settimane, dato l’alto tasso di trasmissione verticale al feto con relativa compromissione fetale, la donna può optare per una interruzione volontaria della gravidanza.