Esami di diagnosi prenatale in gravidanza: a cosa servono? Nel corso della gestazione, la futura mamma può monitorare lo sviluppo del feto attraverso esami specifici. Gli esami di diagnosi prenatale (invasivi e non invasivi) sono utili nella rilevazione di eventuali anomalie cromosomiche a carico del feto. Vediamo insieme quali sono gli esami che si possono svolgere e quando vanno effettuati.

Esami di diagnosi prenatale invasivi: quali sono e quando farli

La più importante anomalia cromosomica è la sindrome di Down (o mongolismo), che ha una frequenza che aumenta con l’età materna, essendo di circa 1:800 nella popolazione generale, 1:300 a 35 anni e 1:100 a 40 anni. Per diagnosticarla, può essere valutato il cariotipo fetale tramite l’amniocentesi o la villocentesi.

L’amniocentesi viene effettuata a 16 settimane circa, sotto guida ecografica, e consiste in una puntura transaddominale dell’utero con prelievo di liquido amniotico: il fastidio è quello di una puntura intramuscolo. Il rischio di interruzione della gravidanza legato alla procedura è dell’1 %, mentre il risultato dell’esame perviene entro tre settimane.

La villocentesi viene effettuata tra l’11esima e la 12esima settimana di gestazione, sotto guida ecografica, e consiste in una puntura transaddominale dell’utero con prelievo di trofoblasto placentare: il fastidio è un poco superiore rispetto all’amniocentesi. Il rischio di interruzione della gravidanza legato alla procedura è dell’1%. Il risultato dell’esame diretto perviene in pochi giorni, quello colturale (definitivo) entro tre settimane.

Esami di diagnosi prenatale non invasivi: quali sono e quando farli

Gli esami non invasivi sono la translucenza nucale e il DNA fetale nel sangue materno.

esami-diagnosi-prenatale-non-invasiviLa translucenza nucale è una misura effettuata a livello della nuca del feto tramite un’ecografia tra l’11esima e la 14esima settimana: se tale spessore risulta aumentato rispetto ai valori normali di riferimento, pure aumentato risulta essere il rischio di anomalia cromosomica e di cardiopatia fetale. Pertanto non si tratta di un test diagnostico, ma statistico, di stima del rischio. Se questo risulterà elevato, si proporrà alla gestante l’esecuzione di un esame invasivo per la diagnosi del cariotipo (villocentesi o amniocentesi) e un’ecocardiografia fetale per la ricerca di malformazioni cardiache. Così facendo si riescono ad individuare tra il 75 e l’80 % dei feti down e molti casi di altre alterazioni cromosomiche o cardiache. Per aumentare l’efficacia del test si può associare la valutazione di: osso nasale, dotto venoso e rigurgito della tricuspide, ed effettuare il prelievo per la determinazione di PAPP-A e free-beta-HCG. In questo modo si riescono a individuare circa il 90% dei feti affetti da sindrome di Down.

Esami di diagnosi prenatale non invasivi: il test del DNA fetale materno

Questo esame genetico ricerca nel sangue materno il DNA fetale, che è il costituente dei cromosomi. Richiede un semplice prelievo ematico (10 ml) effettuabile a partire dalla decima settimana compiuta di gravidanza. In laboratorio si procede all’estrazione del DNA fetale libero (non cellulare) e al suo “sequenziamento selettivo”.

Oggi l’esame può essere processato in Italia. Solitamente non vengono studiate tutte le 23 coppie dei cromosomi, ma le 4 più importanti: la 21, la 18, la 13 e quella del sesso. In una settimana il test indica se il feto è affetto dalla trisomia 21 (sindrome di Down) o 18 (sindrome di Edwards) o 13 (sindrome di Patau), o dalla monosomia X (sindrome di Turner). Questi difetti complessivamente coprono la quasi totalità delle patologie cromosomiche clinicamente rilevanti che superano il primo trimestre di gravidanza. Chi lo desidera può comunque effettuare l’esame di tutte le 23 coppie di cromosomi. Assai meno richieste la ricerca delle microdelezioni e delle mutazioni di singoli geni, situazioni decisamente più rare. L’attendibilità non risulta influenzata dall’età materna, e per la sindrome di Down è del 99,9%.

Comunque in caso di test che indica una cromosomopatia, il risultato andrà confermato tramite villocentesi o amniocentesi. Raramente viene segnalata la necessità di ripetere il prelievo, ovvero quando la quantità di DNA fetale è troppo piccola. Il test si può effettuare anche nelle gravidanze gemellari e nelle fecondazioni da procreazione assistita, sia omologhe che eterologhe.

Nelle donne con gruppo Rh negativo e partner Rh positivo è possibile determinare il gruppo ematico del feto con un prelievo di sangue materno e pertanto nei casi con feto Rh negativo si eviterebbe di effettuare ante-partum la profilassi con immunoglobuline quando altrimenti sarebbe raccomandata (post villocentesi o amniocentesi, minacce di aborto-parto pretermine, di routine a 28 settimane).

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